Una seconda peculiarità della traduzione delle lingue antiche ha a che fare con l’ambito in cui essa è generalmente svolta: si tratta, nella grande maggioranza dei casi, di contesti scolastici o scientifici, il cui scopo non risiede tanto nella comunicazione e nell’espressione di un contenuto, ma piuttosto nella mera restituzione o nell’interpretazione di uno scritto.
Per le lingue antiche più che per qualsiasi altra lingua, la traduzione ha spesso il valore e la funzione di “esercizio”, al punto tale che il termine specifico di “versione” è stato coniato per indicare la conversione di un testo antico in uno moderno. Lo svolgimento di una “versione” coincide solo con la primissima fase della ben più complessa operazione di traduzione del testo: spesso “ingessate” e linguisticamente non rifinite, le versioni si propongono come obiettivo la corretta comprensione del documento e non certo la sua resa ottimale e filologica. Ciò non vuol dire che lo svolgimento di una corretta versione sia un obiettivo scontato. A differenza di quanto accade con le lingue moderne, “padroneggiare” una lingua antica non significa possederne una competenza attiva e automatica; viceversa, l’archittetura sintattica di lingue come il greco e il latino impone di accostarsi ad esse con un metodo solido e un approccio analitico. La definizione di questo metodo varia sensibilmente a seconda del tipo di lingua e delle sue caratteristiche; ad ogni modo, almeno per gli studenti e per chi si accosta allo studio, è buona norma isolare per prima cosa le voci verbali e i rispettivi soggetti – vere e proprie “colonne” della proposizione –, e procedere con l’identificazione dei rapporti fra la frase principale e le frasi dipendenti. Rinunciare a un’analisi attenta e preliminare di tutto il periodo può pregiudicare, nel caso delle lingue antiche, la corretta traduzione del testo. A questo lavoro strutturale dovrebbe costantemente accompagnarsi un’accurata disamina di tipo lessicale. Gli “storici” dizionari a cui si affidano da sempre gli studenti del liceo, dal premiato Rocci al più recente Montanari, sono solo i più rudimentali, ma pur sempre validi, compagni di chiunque si accosti alla traduzione di un testo antico. Il loro utilizzo dovrebbe essere il più possibile equilibrato: da una parte, essi forniscono conferme e risposte indispensabili a chi sa formulare le giuste domande; dall’altra, essi non possono sostituirsi a un lavoro necessario di memorizzazione dei significati delle radici delle parole.
Il passaggio dalla “versione” alla “traduzione” non implica soltanto un lavoro di cesello inerente alla resa grammaticale e semantica di un testo, ma coinvolge soprattutto il piano della coscienza storica del documento in questione. Allo studioso sarà dunque necessario conoscere approfonditamente tutti quegli aspetti che giocano un ruolo fondamentale nella traduzione letteraria o settoriale di qualsiasi lingua: l’autore in questione, le circostanze di produzione del testo, il vocabolario tecnico relativo al genere. In aggiunta, al livello più alto, la traduzione di testi antichi deve tenere conto anche della storia della loro trasmissione, ovvero di quella lunga catena fatta di epoche, eventi, copisti e manoscritti, che ha letteralmente “trasportato” un documento antico sino a noi moderni.